Due Chiacchiere con i Nostri Clienti
La memoria storica del luogo, la freschezza di prodotti certificati e una formula innovativa che ha aperto la strada a tante attività gastronomiche in Italia e all’estero. Mettete insieme questi ingredienti e avrete un’idea approssimativa dell’opportunità commerciale che Massimiliano Mazzaccaro ha saputo trarre da un periodo di crisi vissuto dalla macelleria avviata dal padre nel 1966, e di cui porta con orgoglio il nome.
Sull’insegna dell’esercizio commerciale simbolo di Piazza Poli a Portici, le scritte Grande Macelleria Egidio e Panino Macelleria, che oggi coesistono, sono l’immagine di un presente che tende la mano ai valori del passato per portarli nel futuro. Fino a bissare il successo del nuovo format con l’apertura di una seconda attività, La Carneria, che in un locale attiguo alla macelleria offre alla clientela la possibilità di assaporare la carne al piatto – ma anche zingare, club sandwich, crostoni e altro ancora – con un diverso metodo di cottura, grazie all’uso della brace. L’ingresso in macelleria rivela sin da subito che le parole impresse sulle maglie indossate dallo staff (“La prima panino macelleria dove il fresco è una garanzia”) non sono un semplice slogan: la carne, tagliata o tritata da Massimiliano sotto gli occhi dei clienti, raggiunge le tre piastre che la vetrata ad arco rende ben visibili; e in pochi minuti ritorna al banco, cotta e adagiata in un panino dove verrà accompagnata da contorni (dai funghi alla parmigiana di melanzane, passando per i friarielli e i carciofini fino alle patate fritte e al forno) preparati due volte al giorno: la mattina, in vista dell’orario del pranzo e il pomeriggio per l’apertura serale. Prelibatezze che fanno bella mostra di sé nel banco frigo insieme ad altri prodotti di eccellenza provenienti da varie regioni italiane.
Se c’è un termine che connota immediatamente la Panino Macelleria, questo è senza alcun dubbio «qualità», che racchiude l’eredità morale lasciata a Massimiliano da suo padre. Ed è proprio grazie agli elevati standard dei suoi prodotti che Egidio è diventato un’istituzione a Portici e nei comuni limitrofi. Solo per citarne alcuni: la Manzetta Prussiana certificata da Jolanda De Colò, la porchetta di Ariccia firmata Fa.Lu.Cioli, la Marchigiana, il pollo allo spiedo di 1,3 chilogrammi con patate al forno da richiedere su prenotazione, le bistecche e le salsicce di Cinta Senese, il cordon bleu di produzione propria, i panini per celiaci (l’esercizio è iscritto al progetto «Alimentazione fuori casa» dell’Aic); tagli come la Picanha, la Tomahawk, la T-Bone; poi la braciola, la pizzaiola e le polpette al sugo che vanno a imbottire il pane cafone. E naturalmente la Chianina, che in qualche modo è stata il motore di tutta l’operazione, come ci spiega Massimiliano in questa intervista.
Come e quando nasce l’intuizione della Panino Macelleria?
«Per quanto possa sembrare bizzarro, tutto nasce da quella che io considero una sconfitta. Quando nel 2009 fa presi la decisione di subentrare nell’attività che mio padre aveva aperto quarantatré anni prima, ho scelto la carne di razza Chianina come prodotto di punta da vendere al banco. Una scommessa che si sarebbe rivelata ben presto perdente, perché la Chianina – una delle cinque razze riconosciute dai consorzi italiani e che all’epoca rappresentava il non plus ultra della qualità – si imponeva sul mercato a costi poco accessibili per le tasche delle massaie. E ciò non mi ha aiutato a far entrare il prodotto, inteso come scelta e idea di qualità, nella mente delle massaie. Come dicevo, questa sconfitta ha rappresentato, nel 2010, il punto di partenza della mia avventura imprenditoriale con la Panino Macelleria, nata dalla ferma convinzione di continuare a puntare su quella carne che era un vero top di gamma, proponendola però con un’altra formula. Mi sono detto: «Se non riesco a venderla cruda alle massaie, sarò io a cucinare la carne di Chianina e a metterla nei panini, cercando di far mangiare ai miei clienti la qualità attraverso un cibo cotto al momento».
Ciò comportava, quindi, lo stravolgimento dell’attività di macelleria rispetto a com’era conosciuta fino a quel momento.
«Proprio così, per dare vita a questo progetto ho dovuto riattrezzare l’intera l’attività dando fondo alle risorse della mia famiglia, ripartire con una semplice cucina quattro fuochi sulla quale erano appoggiate due piastre di ghisa. Poi con il tempo sono arrivati i riconoscimenti per le mie scelte di qualità e, soprattutto, per aver anticipato una tendenza che oggi vede tante attività che sono state rimodulate, fino a diventare qualcosa di più rispetto a quelle che sono le macellerie, le salumerie o i fruttivendoli nella loro forma tradizionale. Nel mio caso, costretto dalle circostanze, mi sono ritrovato ad avere un’idea per uscire da una situazione di stasi anche economica, stravolgendo l’attività di base e aprendo la strada alla Panino Macelleria. All’epoca dei fatti era la prima attività che prevedesse una paninoteca all’interno di una macelleria, un luogo quindi dove cucinare e vendere un prodotto take away, da mangiare sul posto o portare via».
Da allora la tua idea, la prima nel suo genere a vedere la luce, ha fatto scuola…
«Sì, questa attività è stata la prima in Italia e all’estero. Da interrogazioni alle Camere di Commercio, è emerso che non esistevano attività dove il prodotto venisse cucinato, confezionato all’interno di un panino con l’aggiunta di contorni. Da lì è partita una sorta di ondata, una moda, soprattutto in Campania e nella zona vesuviana, al punto tale che oggi secondo me si è persa un po’ di vista l’idea originale. Ovvero, quella di mantenere il proposito di offrire prodotti di qualità, ma soprattutto freschi, e utilizzarli per farcire i panini. Oggi, invece, molte panino macellerie sono diventate delle hamburgerie, sfruttano l’idea di base ma utilizzano soltanto uno o due prodotti, per semplificare e alleggerire il proprio lavoro».
A proposito di questo, quanto del tuo tempo viene assorbito dal tuo lavoro?
«Il tempo da dedicare all’attività, per chi non ama delegare familiari o collaboratori, purtroppo è tanto. Uno, perché devi avere il coraggio di metterci la faccia anche nella selezione dei prodotti; due, perché credo che oggi le attività abbiano perso l’identificazione con il titolare, e oramai sono diventate dei luoghi freddi dove si distribuiscono cibi e basta. Invece, io credo che debba esserci ancora, come c’era fino a venti o trent’anni fa, l’esercizio del quartiere dove i clienti andavano, preferendolo ad un altro, perché il gestore creava una forte empatia con loro e garantiva il prodotto; ma anche perché era da anni in quell’attività, e i clienti sapevano che quella scelta era dettata non solo da uno scopo lucrativo ma soprattutto dalla volontà di continuare a essere a lungo un punto di riferimento nella zona. Questa è la scelta che ho fatto anch’io, e auguro a me stesso – ovviamente, forze fisiche permettendo – di continuare a condurre la mia attività in prima linea, fidelizzando il cliente, avendo la certezza di essere scelto tra i tanti perché mi espongo in prima persona, perché sanno che sono continuamente alla ricerca della qualità; perché la mia qualità non è fine a sé stessa, ma è anche garantita da una storia alle spalle».
Parlando di qualità, di futuro e della voglia di continuare a fare la storia commerciale di Portici, a un certo punto è arrivato il momento de La Carneria…
«Sì, nel 2015 ho aperto, proprio accanto a quella principale, questa seconda attività che si incentra principalmente su una cottura diversa rispetto a quella della Panino Macelleria. Ciò grazie a una brace a legna, fatta in maniera molto artigianale, che va a ricreare proprio l’atmosfera di chi ha la possibilità di usufruire di uno spazio esterno con un piccolo barbecue, una piccola brace, dove cuocere le carni, e non solo, con il legno di ulivo. Ho scelto questa particolare varietà di legno perché, al di là della forza in sé, che consente di avere una buona brace e anche duratura, dà un valore aggiunto alla carne. Perché le conferisce un’aroma che ne esalta il sapore e quella morbidezza che solitamente troviamo quando aggiungiamo dell’olio su un prodotto, che si tratti di una fetta di carne o una fetta di petto di pollo».
Quanto c’è dell’impronta lasciata da tuo padre sulla macelleria e sul tuo modo di intendere il lavoro?
«L’attività della macelleria è nata nel 1966 con papà, il quale già all’epoca le aveva dato una sua impronta rispetto a quelle che erano le attività del settore, privilegiando prodotti di qualità, per non dire di altissima qualità, e selezionando anche dei bestiami non italiani – nella fattispecie, francesi: parliamo di due razze importanti come la charolaise e la limousine, che all’epoca erano il top della gamma dei prodotti esteri. Questo è stato il suo punto di forza: garantire una qualità di uno standard superiore rispetto anche alle tecniche di allevamento, con una cura particolare dei tagli e della presentazione del prodotto.
Per il modo in cui ha portato avanti la propria macelleria per 43 anni, mio padre mi ha lasciato come eredità – per averlo visto all’opera da vicino e attraverso le sue scelte – una lezione preziosissima: la qualità ti ripaga, sebbene non subito, sia in termini di riconoscibilità che di affidabilità, da un punto di vista strettamente nutrizionale. Nel solco delle scelte fatte da mio padre sotto la sua gestione, credo quindi fermamente in quello che faccio e dò a tutti l’opportunità di mangiare qualcosa di qualità anche una volta a settimana. Fortunatamente ho avuto un insegnamento del genere, perché mi è servito anche per impormi nel tessuto commerciale, dove oggi c’è una bolgia di attività che fanno food, ma a mio parere tanti sono improvvisati e soprattutto sono in tanti a non conoscere effettivamente, non la qualità, ma ciò che fanno».
Qual è stato il percorso che ti ha condotto fino a qui?
«Dunque, con mio padre ho lavorato solo all’età di 15 anni, poi per una questione sentimentale, dopo la sua morte ho sentito la responsabilità – la proprietà non è nostra, a quel punto avrei potuto chiudere l’attività e basta – di portare avanti la macelleria. Mi sono quindi lanciato in questa avventura dopo un buco temporale di 18 anni. Fino a quel momento, dopo aver finito gli studi con il diploma di ragioneria, ho iniziato un lavoro nel settore orafo come incastonatore di pietre preziose, e avevo anche molto più tempo per me. Non ero immerso nell’attività 24 ore su 24 e avevo anche grandi soddisfazioni economiche. Era diverso l’impegno richiesto. In quel caso era un impegno manuale che necessitava di molta attenzione; oggi, invece, a queste due componenti si aggiungono le responsabilità legate alla selezione dei prodotti e alle decisioni da prendere per la conduzione dell’attività. Ho dovuto reinventarmi, reimparare, ma questa volta però non c’era nessuno che mi potesse indirizzare, ho dovuto fare tutto da solo. Ricominciare tutto daccapo. È vero, seleziono i prodotti col modo di vedere la qualità di mio padre, ma nella manualità, per quello che concerne il lavoro in sé, ho dovuto essere un autodidatta, ripartire con la conoscenza pregressa di un quindicenne che a tutto pensava fuorché al lavoro».
Qual è il tuo rapporto con le nuove forme di comunicazione?
«Forse anche per il fatto di venire da una generazione di commercianti vecchio stampo, sono ancora legato al passaparola più che all’idea di fare dei grossi investimenti in pubblicità. Questo non vuol dire che chi lo fa sbaglia, però le nostre origini fortunatamente ci hanno insegnato che tutto deve essere toccato con mano, in questo caso tutto deve essere assaporato. Il discorso social subentra in un secondo momento. Altrimenti c’è il rischio che ad avvantaggiarsene siano soprattutto gli improvvisati, quindi non conoscitori dei prodotti che vanno a manipolare, magari solo perché hanno la possibilità di investire ingenti risorse nella comunicazione digitale. I social contano, ed è giusto che ci siano sempre più figure professionali che crescano in questo settore. Però bisogna tenere i piedi a terra, e questo vale sia per il gestore che se ne avvale per far conoscere la propria attività, sia per chi li utilizza per scoprire le attività commerciali. Io dico che bisogna andare a provare le attività commerciali e farsi un’idea propria, e quindi non sceglierle in maniera frettolosa solo perché vendono bene la propria immagine, perché oggi, soprattutto nel settore alimentare, se non sceglie la qualità, il gestore dell’attività non solo reca danno a sé stesso, ma anche a chi consuma i suoi prodotti».
In definitiva, consiglieresti ai tuoi colleghi di cominciare a cercare un’identità digitale?
«Lo consiglio perché, ripeto, oggi i social sono importanti e rappresentano un riferimento per giovani e meno giovani, però ci deve essere un lavoro che proceda di pari passo, da parte sia di chi gestisce l’attività sia di chi lavora nel mondo dei social. La responsabilità di veicolare un messaggio aderente il più possibile alla realtà ricade su entrambi. Si fa presto a dire «seleziono prodotti di qualità» e a far passare questo messaggio con una bella foto e una frase ad effetto; ma il cliente che ti ha trovato facendo una ricerca al volo sul web, ti sceglierà solo per quella volta se il prodotto portato alle stelle sui social non gli sarà piaciuto. Ecco perché il gestore dell’esercizio e chi gli gestisce i social devono essere onesti l’uno con l’altro e far camminare a braccetto il piano dell’immagine e quello della realtà».
Com’è il tuo rapporto con Napoli, anche dal punto di vista della tua attività?
«Il mio rapporto con Napoli è molto forte, sia perché siamo napoletani di origine sia per il mio ancoraggio alle tradizioni alimentari (e ai prodotti come il pomodoro piennolo di cui faccio largo uso nella preparazione di polpette, pizzaiola e braciola) di questa terra, che da gestore di attività gastronomiche sento in modo particolare. Negli anni scorsi ho avuto molte possibilità di portare la mia attività su Napoli, ho anche ricevuto offerte formulate da cordate di imprenditori, che ho sempre declinato in virtù del legame affettivo con la macelleria avviata da mio padre e del suo radicamento su questo territorio».
Intervista realizzata da Francesco Ruoppolo
Digital Marketing Specialist